Ecco due liriche di Giuseppe Conte (1945), in due tempi e un solo tema, l’amore che racconta la storia della sua iniziazione, una storia fresca, chiara immediata, e poi il passaggio a quel qualcosa di più che fa dell’eros l’amore-storia, o l’amore semplicemente, che è sempre rischio con il tempo, scommessa, gioco, assenza, e sottile soffrire. Sempre resta uguale il sogno di chi si innamora, che innamorandosi vuole eterno il presente. Amando si ha e poi si perde, l’eternità che si sogna si dissolve in schegge di ricordi, “eterno è quando il tempo finisce”, ma come non rimpiangere la stagione dell’amoroso inganno, come non desiderare che ancora ritorni l’ora dell’incantamento…
Elegia del tempo, a Mary
Noi non saremo più quei due
che si abbracciano soli nelle ultime
file di sedie al cinema, che ridono,
che si cercano nel buio arcuato dei giardini
sotto le euforbie e gli alberi del pepe
che stanno ore a parlare sulle panchine
azzurre, si carezzano aspettando l’autobus
sotto le colonne delle pensiline.
Né più come vasti aquiloni o pescherecci
isolani ci guideranno al largo i baci.
Questo passato, come è facile
per noi dire ieri, Mary!
Niente ritornerà: né le passeggiate
per il Corso Roosvelt, né il vestitino
celeste che le tue gambe magrissime
tagliavano quasi, né il mio sguardo
geloso, ossessionato. Niente. C’era
un tempio promesso, e non l’abbiamo
cercato. Dove andremo,ora?
Non si devono sognare eterni gli amanti.
Eterno è quando il tempo finisce,
quando saremo sconosciuti, lontano.
Ma abbiamo camminato tanto mano per mano!
Non potremo continuare un po’ ancora
per vedere restando insieme l’essenza
del tramonto, l’essenza dell’aurora
su una strada che una sabbia di luce spazza
come quella deserta a sud di Aswan?
te la ricordi?
Elegia dei primi baci
Come tutto cambiò. Come mi apparve
d’improvviso tutto più vero, più
vero anche il mio sguardo, come smisi
ogni superbia paurosa, ogni disprezzo
per gli altri, con che gioiosa
finalmente, e umile e infinitamente
partecipe energia dissi a me stesso:
Giuseppe, esisti. Bastò che quella
notte a Bath quella ragazza, Norma, nome
che sapeva di selve e cieli
lunati e musiche, che aveva
sei o sette anni più di me, e doveva
sposarsi di lì a poco mi dicesse:
“vieni, lasciamo questa festa da ballo,
vieni”, e corressimo docili a baciarci