02 Novembre 2025

A chi non c’è più.

Claudio Volpi
A chi non c’è più.
'Orfeo che guida Euridice dagli inferi', del 1861 - Jean-Baptiste-Camille Corot

Alcune poesie di Stefano Simoncelli ispirate e dedicate a chi non c’è più, alle assenze nelle nostre vite, una madre, un amore, qualcuno che è stato importante….

A mia madre

Non mi orizzonto mai

nei mattini troppo luminosi

e a occhi semichiusi mi trascino,

oggi che è arrivata primavera,

da una camera all’altra

fino al ballatoio,

 

al terrazzo,

annusando l’aria

come una bestiola smarrita

in cerca dei tuoi vestiti,

le calze,

le scarpe rigorosamente

senza tacco

e penso come è vano

il mio fuggire

per ritornare

fradicio di niente

e rattrappito fino alle ossa

 

se non riesco ad andare

un solo centimetro più in là

dei rocchetti colorati di cotone

e le scatoline

stracolme di bottoni

che hai lasciato

nella vecchia singer.

 

La sciarpa viola

(la portavi in ospedale

con civetteria e imbarazzo)

imboscata insieme

agli altri capi invernali

in fondo all’armadio,

 

scampata allo sciacallaggio

delle zelanti donne

delle pulizie

che dopo il funerale

hanno strofinato

e strofinato

gli angoli della casa

cancellando ogni tua traccia

non è, mi dico,

di pelle e ossa.

 

Allora perché

rimango qui,

custode di reliquie,

l’ultima notte dell’anno,

l’ultimo anno del millennio,

a baciarla e accarezzarla

come se là dentro,

nella lana…

 

Ti lasciavi pettinare

come fossimo nel salone

di un rinomato parrucchiere.

 

‘Stasera viene a trovarmi

la Maria’ sussurravi

sprofondando

poco alla volta

in un viaggio esclusivo

di pillole e fiale

fino a raggiungere

porti abitati

da chiari di luna,

vuoti di memoria,

 

parenti mai ritornati

da Stalingrado

o lo scintillio magico

degli spilli per le messe

in prova notturne

alle attrici

del Carro di Tespi.

 

Rivedevi lampi di pailletes,

sfarzose nuvole d’organza,

la sensualità dei velluti

e in quei sogni artificiali

forse sei stata

anche felice.

 

Sul terrazzo all’aperto

di un altro

aprile impietoso

mi è sembrato

-oh, un attimo!-

che tu sia ritornata

per aiutarmi

a stendere

i lenzuoli del bucato

 

oggi che tira vento

dal mare,

volano le tende

e la casa mi gira intorno

come una giostra,

si capovolge:

 

i pavimenti

diventano soffitti,

le pareti,

con quadri e libri,

pavimenti.

Ogni cosa sottosopra

insieme alla mia vita

che va per nuvole

e strapiombi

mentre salgo

di corsa le scale

fino al soppalco,

al tetto,

all’oblò del solaio.

 

Ci sarà,

ti domando,

un punto preciso

di aggancio,

o una piattaforma

da dove prendere il volo?

Basterà una tenda?

Un lenzuolo?

 

 

1

Intanto vedo che non vieni

per cena, che non ci sei

in mezzo alla piazza

tra i piccioni e la giostra,

che ti bagnerai fino alle ossa,

ti ammalerai adesso che piove

e hai dimenticato l’ombrello

accanto alla porta,

che non chiamerai

per avvisarmi

e non ci sarà più niente,

proprio più niente

da chiederti.

 

2

Mancano pochi minuti

a mezzanotte

e qualcuno bussa

piano alla porta.

Mi alzo dal divano barcollando

 

e domando: ‘chi è?’.

Silenzio dentro

a un altro silenzio

più crudele e profondo.

 

Faccio scorrere

la sbarra d’acciaio,

tolgo la catenella,

schiudo una minuscola fessura

 

e guardo verso destra,

a sinistra, in basso, in alto,

ma non c’è nessuno.

Buio nel pianerottolo,

buio nel dolore,

 

il mio, buio dappertutto,

mentre sento la tua voce

che bisbiglia da chissà dove:

‘sono ritornata a prenderti,

sei pronto?’

 

Lo sono da sempre

ti vorrei rispondere,

ma la commozione

mi stringe la gola,

non respiro,

e d’un tratto capisco

 

che non capirò

mai più niente.

 

Terza lettera

Rimanga soltanto tra noi

quello che oggi ti scrivo

dai confini del nulla.

Chi l’avrebbe mai detto

la prima volta

che ti ho vista

così piccola,

timida e spaventata

che ti sarebbe piaciuto

fino a questo punto

il rischio estremo

di restarmi accanto,

affacciarti ogni giorno

sul baratro,

sopportarmi quando

do di matto,

accompagnarmi

nella tenerezza,

nella gioia, nella malattia,

nel pianto

proteggendomi come

se fossi il figlio

che abbiamo desiderato

e mai avuto.

Insomma:

che ti amassi così tanto.

 

 

 

 

 

Claudio Volpi

Nato ad Assisi, dove vive e lavora. Laureato in Lettere Moderne, si occupa di Arte e Antiquariato, ha una Galleria D’Arte nel centro storico della città. Dagli anni ottanta ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima quest’anno con il volume “Voci Versate”, Casa Editrice Pagine Roma.

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