Due belle poesie di due eccellenti poeti che frequentano la nostra rubrica, e una terza di Mirko Zacchei.
Estate
Ricordo i giorni
della nostra prima felicità,
quant’eravamo forti,
storditi di passione,
sdraiati tutto il giorno,
poi tutta la notte
sul letto stretto,
a dormire, mangiare anche:
era estate,
sembrava che tutto
fosse maturato d’un tratto.
E così caldo
che giacevamo
completamente scoperti.
A volte si alzava il vento;
un salice
sfiorava la finestra.
Ma , in certo qual modo,
eravamo persi,
non lo sentivi?
Il letto era una zattera;
sentivo che andavamo
alla deriva distanti
dalle nostre nature,
verso un luogo dove
non avremmo scoperto nulla.
Prima il sole,
poi la luna,
a frammenti,
rifulgevano nel salice.
Cose che chiunque
avrebbe potuto vedere.
Poi i cerchi si chiusero.
Piano le notti
si fecero fredde;
le foglie pendule del salice
ingiallirono, caddero.
E in ciascuno di noi
iniziò un profondo isolamento,
anche se non ne parlavamo,
di questa assenza
di rimpianto.
Eravamo di nuovo artisti,
marito mio.
Potevamo riprendere
il cammino.
Louise Gluck
Sarà strano
sapere infine
che non poteva
durare in eterno,
con quella vocina
a ripeterci all’infinito
che nulla sarebbe cambiato,
e ricordare anche,
perché allora
sarà tutto finito,
com’erano le cose,
e come abbiamo
buttato via il tempo,
come se non ci fosse
niente da fare,
quando in un lampo
il tempo cambiò,
e l’aria sublime si fece
insopportabilmente pesante,
il vento sorprendentemente
taciturno
e le nostre città cenere,
e sapere pure,
cosa mai sospettata,
che era qualcosa
come l’estate
al sommo della maestosità
tranne che le notti
erano più calde
e le nuvole parevano
emanare luce,
e perfino allora,
perché non saremo
molto cambiati,
chiederci che ne sarà
delle cose,
e chi rimarrà
a ripetere tutto daccapo,
e chissà come cercare,
ma tuttora incapaci,
di sapere cosa davvero
sia andato del tutto
per il verso sbagliato,
o perché sia
che stiamo morendo.
Mark Strand
Uomini in vetrina,
nel luccichio smeraldo,
che per quanto
si vogliano bene
restano lontani.
Trafitti da oggetti
atroci come attimi,
prendono un caffè
ed escono veloci,
come dal buio.
Se il sole è spento
l’hai spento tu.
Se uno soffre,
il dolore è suo
come questo caffè,
mio solo
quando lo pago.
Un attimo prima
è del barista.
Il dolore è di entrambi
solo nel momento
in cui sto pagando.
Basta zoppicare fuori,
e l’erba scintillante
ti trascina
in un giorno
che nessuno può
alleggerire per te.
Ogni giorno è nuovo
ma mai separato
dal precedente:
una lama che crede.
E ricorda:
“la vita si ama
In modo asimmetrico,
come una linea
del fashion”.
Riparerò le ferite
dell’anima con l’oro,
come fanno i giapponesi,
oro, stile e caffè
a tenermi sveglio.
Le ferite,
trasformate in bellezza,
squarceranno il silenzio
della tua grazia,
a ricordarmi
di trovare la mia.
Poi , con il buio,
me la vedo io.
Mirko Zacchei