22 Maggio 2025

A ogni morte d’imperatore

Elvio Lunghi
A ogni morte d’imperatore

Il 28 settembre 1197 l’imperatore svevo Enrico VI moriva improvvisamente a Messina, alla presenza della moglie Costanza d’Altavilla e dei suoi più fidati collaboratori, Markvardo di Anweiler e Corrado di Urslingen. L’imperatrice fece immediatamente rientrare da Foligno in Valle Umbra il figlio minorenne Federico e cacciò dalla corte normanna il personale tedesco che aveva seguito dalle terre dell’Impero il defunto imperatore in Sicilia. Markvardo e Corrado rientrarono nella marca anconetana e nel ducato spoletano, nel tentativo di consolidare la propria posizione in Italia centrale, ma trovarono una situazione in rapida evoluzione per l’iniziativa di Celestino III di rientrare in possesso delle terre che Enrico VI aveva occupato nella marcia di conquista verso il regno di Sicilia (1194). Alla notizia della morte dell’imperatore, Celestino III aveva inviato propri emissari per rivendicare i diritti del papato sullo Stato della Chiesa, avvalendosi delle presunte donazioni di Costantino e di Carlo Magno, e aveva ottenuto il giuramento di fedeltà da parte di alcune città, tra le quali Spoleto e Perugia. Celestino era già molto avanti negli anni e nel corso del suo pontificato non aveva brillato per decisionismo; per le quali ragioni, alla sua morte, avvenuta l’8 gennaio 1198, il collegio cardinalizio decise all’unanimità di scegliere un pontefice energico e ancora giovane, facendo cadere la scelta su Lotario Conti di Segni, cardinale diacono dei Ss. Sergio e Bacco, che all’età di soli 38 anni il 22 gennaio 1198 fu consacrato papa assumendo il nome di Innocenzo III. Subito Innocenzo si troverà ad affrontare la spinosa questione della vacanza del titolo imperiale, conteso in Germania tra Filippo di Svevia, fratello di Enrico VI e candidato dei ghibellini, e Ottone di Brunswick, figlio di Enrico il Leone e candidato dei guelfi, ma sarà inaspettatamente favorito dalla decisione di Costanza d’Altavilla di riconoscere la signoria feudale del papa sul regno di Sicilia e di rinunciare per il figlio Federico alla corona imperiale, chiedendo per lui in cambio l’incoronazione a re di Sicilia. Innocenzo appoggerà la candidatura del guelfo Ottone di Brunswick, per poi abbandonarlo, alla morte di Filippo di Svevia, per sostenere l’ascesa irresistibile del “figlioccio” Federico II di Svevia. Appena eletto pontefice, Innocenzo nominò un senatore di sua fiducia alla testa del senato romano e pretese che tutti i baroni di Roma gli giurassero fedeltà. Una volta consacrato, inviò i cardinali Ottaviano e Gerardo nella marca di Ancona, con l’ordine di riconquistare quelle terre al dominio della Chiesa. Nel 1195 Enrico VI aveva nominato duca di Ravenna e della Romagna e conte della marca anconitana e del Molise il siniscalco dell’Impero Markvardo di Anweiler, uomo astuto e subdolo. Questi, per mantenere i suoi domini, negoziò con gli emissari del pontefice la consegna di quanto gli era spettato dell’enorme ricchezza che l’imperatore aveva diviso tra i suoi più stretti collaboratori alla conquista del regno di Sicilia. Fiutando l’inganno, i due cardinali respinsero l’offerta e scomunicarono Markvardo, accusandolo di numerosi crimini nell’esercizio del potere. Il duca abbandonò precipitosamente le sue terre e cercò rifugio nei confini del regno. Immediatamente le principali città della marca – cioè Ancona, Fermo, Osimo, Camerino, Fano, Iesi, Senigaglia e Pesaro – si consegnarono alla Chiesa; con l’esclusione di Ascoli rimasta fedele alla causa imperiale. Nelle terre del ducato di Spoleto, lo svevo Corrado di Urslingen, vedendosi abbandonato da alcune città, cercò di mantenere il titolo di duca proponendosi come vassallo del papa, offrendo in ostaggio i propri figli, una forte somma di denaro, un censo annuo e il mantenimento di una guarnigione per la difesa delle terre della Chiesa. Benché l’offerta fosse vantaggiosa, Innocenzo rifiutò ogni trattativa per le proteste di quanti temevano una permanenza degli eserciti tedeschi in Italia. A metà aprile Corrado si assoggettò incondizionatamente al papa, sciolse i suoi sudditi dai vincoli di obbedienza, consegnò la città di Narni e le roccaforti di Cesi e di Gualdo Tadino agli emissari papali, ordinò che altrettanto si facesse ad Assisi, ma gli assisani si impadronirono della rocca e la distrussero per impedire che fosse consegnata alla Chiesa Romana. Nonostante l’opposizione dell’aristocrazia ghibellina, nei mesi successivi le principali città del ducato, cioè Rieti, Spoleto, Assisi, Foligno e Nocera, riconobbero la supremazia papale. Corrado fu costretto a tornare in Germania – nell’estate 1199 era alla corte di Filippo di Svevia – e il papa ottenne la sottomissione delle città di Perugia, Gubbio, Todi e Città di Castello. Soltanto il castello di Monte Santa Maria fu demolito, per vendetta del cardinale Ottaviano che vi era stato trattenuto prigioniero al ritorno da un viaggio in Francia.

La tomba di Enrico IV di Svevia – Palermo

Elvio Lunghi

Insegnante pensionato non ha perso il vizio di raccontare storie

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