La città delle lettere
Nell’autunno e nell’inverno del 1997 e del 1998, dopo il devastante terremoto, Assisi cadde in una crisi di nervi. Uno sbigottimento sociale dal quale sembrava complicato tirarsi su. Anche perché lo sciame sismico ha continuato a scuotere, oltre agli edifici, anche il sistema nervoso delle persone.
Serviva “resilienza”, una parola che ancora non andava di moda, che spesso è usata in maniera inappropriata ma che nel caso specifico è proprio adeguata a descrivere ciò di cui vi era bisogno, perché sta a significare la capacità della materia vivente di autoripararsi dopo un danno. E la resilienza spesso necessità di creatività.
Claudio Carli ha cominciato a ragionare sulla possibilità di una iniziativa che potesse coinvolgere la cittadinanza in modo costruttivo, tirare fuori le persone dalle case, farle ricominciare a comunicare, a tessere le maglie della socialità.
Nacque così “La città delle lettere”.
Le lettere come epistole, oppure brani tratti da opere narrative, teatrali o poesie, di autori famosi o frutto della fantasia di chi realizzava il manufatto.
I testi venivano scritti ovunque: su stoffa, cartone, tele, legno, pietra, e ogni materiale possibile. Ed erano quasi sempre accompagnati da commenti pittorici, disegni, mosaici, sculture. Si realizzarono decine di performance artistiche che vennero poi esposte in modo ragionato in tutta la città storica. Tanti messaggi ricchi di sentimento e con significati plurali, frutto del lavoro di centinaia di persone, che Carli coordinò con grande meticolsità.
Per la sua preparazione si è lavorato ovunque: nelle case private, ma anche in luoghi di socialità come il circolo Arci, che allora era nel Convento di Santa Caterina, oggi resort Nun.
Il risultato fu un’enorme installazione, in cui la comunità ferita parlava a se stessa e cercava il coraggio per ricominciare.
“La Città delle lettere” è stata l’opera alla quale, probabilmente, Claudio è rimasto più legato sentimentalmente. Forse alla pari con il Drappellone del Palio di Siena. Due opere con un comune elemento: l’oggetto d’arte come feticcio, esplicitazione dell’emozione collettiva.
Quell’opera popolana è stata riproposta da Claudio Carli a tutte le amministrazioni comunali che si sono succedute dal 1998. Poteva evolvere con declinazioni artistiche variegate, ma con la stesso intendimento: comunicare attraverso le lettere, le epistole. Un noi comunitario che si mette in gioco, si mette a confronto e ragiona in modo virtuoso e propositivo.
Un capolavoro nella sua semplicità, al quale nessun politico, nessun amministratore ha mai ritenuto di dare seguito.