02 Giugno 2020

Per ripopolare la città serve la cultura della solidarietà

Paolo Berdini
Per ripopolare la città serve la cultura della solidarietà

Il ragionamento di Carlo Cianetti sulla desertificazione di abitanti nel centro storico di Assisi, solleva una questione fondamentale per il futuro dei centri antichi ad alta intensità turistica, e cioè con quali politiche e quali progetti possiamo tentare di introdurre nuove abitazioni sociali in tessuti che, a causa dell’innalzamento dei valori immobiliari,  scartano le famiglie più povere.
Avevo cercato di cogliere la peculiarità di Assisi rispetto ad analoghe città divorate dal turismo mordi e fuggi, e cioè quello di aver conservato un presidio di luoghi  spirituali che hanno mantenuto il carattere della città. Ma è altrettanto vero quanto afferma Cianetti.  Assisi  ha perso centinaia di famiglie residenti e rischia di essere comunque una disneyland del circo internazionale del turismo di massa. Torniamo allora alla domanda iniziale, in quale modo, con quali sforzi economici e progettuali si possono rivitalizzare i centri storici.
Le città vivono da oltre 5 mila anni. Esigenze economiche e culturali le hanno plasmate ininterrottamente, stratificando edifici, mutandone le funzioni. Da sempre, dunque, le città cambiano usi e caratteristiche degli edifici. Due soli esempi.  A Siena, la leggenda della fondazione dell’ospedale di Santa Maria della Scala narra di un calzolaio che prima dell’anno mille inizia a dare assistenza sanitaria ai pellegrini che si recano a Roma. Il governo comunale di Siena crede nel progetto e nei secoli successivi inizia a fornire aiuti economici, sgravi fiscali, risorse umane. L’ospedale diviene così sempre più grande e complesso e inizia anche ad accumulare opere d’arte di valore inestimabile. Oggi è uno  dei musei pubblici più straordinari d’Italia e rende evidente –grazie a un restauro impeccabile- il flusso della storia.

A Gubbio, negli anni ottanta -quando ancora esisteva l’urbanistica pubblica-  furono creati alloggi popolari in un ospedale localizzato in pieno centro storico, da tempo dismesso.  Il modello di intervento del cambio di funzione è dunque consolidato e va interpretato in relazione degli obiettivi sociali da perseguire. A Siena, l’antico ospedale diviene un museo in ossequio alle eccelse qualità del complesso. Nella Gubbio che iniziava a spopolarsi, si pensò  a reintrodurre residenza sociale.
Torniamo ad Assisi. Alcuni grandi edifici pubblici e privati –è Cianetti ad indicarli con precisione- non presentano più una funzionalità definita, sono in parte abbandonati e vivono da tempo una fase di “sospensione”, che porterà inevitabilmente alla loro riconversione urbana. Dal punto di vista teorico non è dunque difficile pensare a reintrodurvi  residenza sociale. Servono però tre concreti strumenti. Nel caso di edifici di proprietà pubblica occorrono finanziamenti che –come noto- oggi sono scarsi, anche se è possibile ricorrere alla Regione o alla Comunità europea. Per questo, eccoci al secondo strumento, sono indispensabili risorse umane qualificate, tecnici ed economisti, proprio mentre i comuni sono stati ridotti al lumicino per i continui tagli al personale.
Ma ci sono anche alcuni contenitori edilizi privati. In questo caso, la terza condizione è che il comune svolga il ruolo di regia politica della trasformazione urbana. Che sappia in altri termini coinvolgere la proprietà privata in una operazione lungimirante e condivisa di riassetto urbano, consentendo ad esempio il mutamento di destinazione d’uso, in cambio della cessione di una quota di case per le famiglie a basso reddito. Sono operazioni che vengono usualmente compiute in molti comuni europei dove si vedono luoghi in cui convivono appartamenti destinati al mercato libero con quelli destinati alle categorie più sfavorite.
Un modo efficace per praticare l’integrazione e l’inclusione sociale, per ricreare le comunità urbane cancellate dal dominio incontrastato di un’economia sbagliata e senza regole. In questo senso, i comuni possono contribuire ad aprire una strada nuova, quella di tornare ad un’economia che tiene in considerazione non solo il profitto, ma anche il benessere sociale. Le città sono organismi pubblici, beni comuni per eccellenza, non sono soltanto luoghi per estrarre ricchezza da parte della proprietà edilizia.
Per salvarle, occorre ritornare alla cultura della solidarietà che le ha generate, ricostruire le città dell’ecologia integrale che tengano in conto la vita delle persone e i loro bisogni. Assisi ha molte possibilità –per cultura e ricchezza del centro antico- di riuscire in questa opera di ricostruzione comunitaria.  

Paolo Berdini

Docente di Urbanistica all’Università di Tor Vergata e scrittore. Le ultime pubblicazioni per Donzelli: “Breve storia dell’abuso edilizio” e “Le città fallite”

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