17 Maggio 2020

Assisi non può smarrire un’identità culturale unica

Paolo Berdini
Assisi non può smarrire un’identità culturale unica

Le immagini delle città durante i mesi di lockdown ci hanno fatto vedere le città d’arte vuote di turisti, completamente deserte. Il livello elevato dei valori immobiliari ha causato nel tempo una grande perdita di residenti.
I centri storici sono diventati luoghi di estrazione di reddito: a Roma all’interno delle mura aureliane esistono circa 20 mila B & B, fanno guadagnare molto più di un normale affitto ma creano il deserto urbano.
Ed è così in tutte le città a forte presenza turistica. L’antitesi dell’inclusione. L’antitesi dei legami sociali che sono stati alla base della nascita delle città.
I residenti sono ormai così pochi da non riuscire più a formare  una comunità.  Trenta anni di dominio del pensiero neoliberista, una vera pandemia culturale, lasciano città distrutte nella loro radice storica.
Oggi la pandemia coronavirus ha reso evidenti a tutti i risultati di un dissennato governo delle città.
Assisi rappresenta una singolare contraddizione di questo fenomeno.
Non che i flussi turistici siano minori di  altri luoghi di identica bellezza.  
O che il commercio di massa non abbia allontanato le botteghe artigiane che punteggiavano le sue strade fino ad alcuni decenni fa.
Ma Assisi fa eccezione alla desertificazione sociale.

Sono tre i motivi che hanno rappresentato una barriera invalicabile all’omologazione. Il primo sta nella profonda tensione culturale che abita la città. Storiche esperienze comunitarie come la Cittadella; meritorie associazioni di assistenza ai più fragili; gruppi di preghiera; fiumi di giovani alla ricerca di un senso profondo dell’esistenza, formano la trama di una inesauribile attitudine a concentrarsi su valori fondamentali. Il centro storico di Assisi ha perso molti abitanti ma non può smarrire un’identità culturale unica.
La presenza di un grande numero di conventi ci porta al secondo dei motivi che hanno arginato l’omologazione. Non c’è un luogo della città che non sia stato plasmato da una continua stratificazione storica che ha portato alla realizzazione di tanti complessi conventuali, tutti uguali nel lessico delle loro componenti e tutti differenti per gli esiti. Il convento di Santa Chiara è certo differente –per dimensione e complessità- dal piccolo gioiello di San Quirico.  Entrambi, e con loro tutti gli altri, formano una trama urbana di irripetibile identità.
Dietro quelle mura e quei chiostri, vivono comunità  che non si sono viste nei giorni di pandemia perché è così in tutti gli altri giorni dell’anno. Una vita che possiamo giudicare affrettatamente come estranea alla vita urbana e che invece ne forma, a mio giudizio, il senso più profondo.
Eppoi c’è una questione strutturale che riporta ad un nodo cruciale del mestiere dell’urbanista. Quei complessi conventuali sono proprietà collettive sottratte all’economia di mercato. Monaci e  frati vivono in povertà all’interno di strutture importanti sotto il profilo artistico ed economico. La scelta di vite austere ha portato a grandi ricchezze collettive. È la strada opposta a quella che ci è stata imposta dall’esplosione dell’individualismo esasperato e dalla spinta all’arricchimento individuale.

È questa inestimabile ricchezza collettiva che ha preservato l’identità di Assisi. Non tutto è mercato, ci dicono quelle splendide mura. Non tutto è in vendita. Una storia secolare di economia di fraternità e di saldi valori torna ad essere preziosa in questi tempi segnati da una profonda crisi economica che sembra impedire a tutti, e in particolare ai giovani, di guardare al futuro con fiducia.
Tra poco, la vita nelle città riprenderà. Riapriranno gli uffici pubblici, quelli privati hanno già iniziato. Molte fabbriche non hanno mai chiuso.
Gli aeroporti incrementano piano piano il numero dei voli. Rivedremo i primi gruppi di turisti in mascherina aggirarsi nelle città d’arte. I centri commerciali riprenderanno ad attirare consumatori distanziati. Forse non è così vero che “nulla sarà come prima”. Interessi giganteschi hanno urgente bisogno che le città riprendano la loro vita al più presto senza toccare nulla del disegno che da trenta anni ha ridotto la polis a luogo in cui le disuguaglianze sono aumentate e la solidarietà è stata cancellata.
Assisi rappresenta una straordinaria eccezione a questa china rovinosa.
Nei momenti di crisi come quello che stiamo vivendo è indispensabile riaffermare un pensiero nuovo capace di costruire una nuova economia, rispettosa della dignità delle persone e dell’ambiente devastato dai cambiamenti climatici. È la strada indicata otto secoli fa da San Francesco.
È la strada ipotizzata da papa Francesco con l’enciclica Laudato si’. Assisi ha da tempo un ruolo fondamentale nel dialogo interreligioso e  oggi può essere un punto di riferimento per iniziare a dissodare il terreno di una nuova prospettiva sociale.

Paolo Berdini

Docente di Urbanistica all’Università di Tor Vergata e scrittore. Le ultime pubblicazioni per Donzelli: “Breve storia dell’abuso edilizio” e “Le città fallite”

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