19 Maggio 2023

Vittorio e la politica

Francesco Lampone
Vittorio e la politica

Per avvicinarsi a una risposta sensata si può cercare di comprendere il ruolo della politica nella vita di Vittorio. Si è già detto della famiglia, ma si è anche capito come questa stessa famiglia, che certamente non ha appoggiato né mai appoggerà il regime, non dà e non vuole problemi, e questo il regime lo sa. Però a ventiquattro anni la famiglia può essere molto, ma non può essere tutto.

Riprendiamo allora i documenti di polizia, primo fra tutti il più decisivo, quello che di fatto spedisce al confino Vittorio avviando il relativo procedimento. Nella “Denuncia per l’assegnazione al confino di polizia”, firmata dal questore Armando Grossi in data 4 giugno 1937 e indirizzata al Prefetto Michele Adinolfi, leggiamo un’interessante ricostruzione delle frequentazioni antifasciste del piccolo gruppo che fa riferimento alla bottega di Vittorio Rinaldi, attraverso le dichiarazioni attribuite ai suoi due giovani complici: “Nel loro interrogatorio, non solo specificarono che furono istigati dai predetti Rinaldi Vittorio e Angeli Artaserse, ma aggiungono anche che frequentando l’esercizio pubblico di CHIAPPINI Maria di Alessandro, gestito dal proprio marito FONGO Giovanni di Giuseppe e fu Tini Assunta nato in Assisi il 27 aprile 1891, e in quello gestito da RANUCCI Francesco fu Nazzareno e di Gori Maria, nato in Assisi l’8 aprile 1884, avevano avuto modo di avvicinare il barbiere NEGRINI Romeo di Luigi e fu Gammaitoni Maria, nato a Foligno il 24 febbraio 1903, il muratore PAOLETTI Angelo furono Vincenzo e Maria Gatonelli nato in Assisi il 25 gennaio 1885, il fabbro TANCI Giuseppe furono Giacomo e Domenica Caporali nato in Assisi il 29 luglio 1879, i quali commentavano favorevolmente i comunicati diramati dalla stazione di Barcellona circa le presunte vittorie dei rossi nella Spagna, a mezzo di un apparecchio radio ricevente collocato nell’esercizio gestito dal Ranucci”. Un po’ più avanti si apprende che nel pubblico esercizio in parola “vi si teneva propaganda antinazionale e talvolta vi si cantavano, sia pure sottovoce e con circospezione, inni sovversivi”.

Niente di spettacolare, insomma, ma il bozzetto è efficace, disegnando con pochi ma riusciti tratti un blando antifascismo da osteria, popolare, che non può non essere già noto alle occhiute (e orecchiute) forze dell’ordine almeno nei suoi tratti generali. Piccole intemperanze probabilmente tenute semplicemente sotto controllo, un po’ perché incomprimibili e molto perché ritenute inoffensive, almeno finché tre facinorosi non credono di poter impunemente far sventolare in giro bandiere comuniste.

Esula da questa ricostruzione, ma certamente anche dall’ambito di relazioni di Vittorio, l’antifascismo colto, borghese e piccolo borghese, e non è a caso che più volte si sottolinea nei rapporti l’estrazione operaia di Vittorio e della sua famiglia; la quale (si noti incidentalmente) non risulta in alcun modo coinvolta nell’inchiesta, ed è rimasta perciò sicuramente estranea ed ignara rispetto all’intera vicenda.

Va infine ricordato che, nell’economia poliziesco/giudiziaria di questo documento, la rappresentazione dei dati di contesto è soprattutto funzionale a precostituire la prefigurata ordinanza di confino, e quindi non racconta completamente la posizione di Vittorio. Tant’è che più tardi, a confino deciso, gli stessi rapporti di polizia cominciano già a sfumare. “La sua bottega era frequentata dall’anarchico Angeli Artaserse e non è improbabile che il Rinaldi sia rimasto vittima della propaganda antinazionale di costui”, recita la scheda di questura del 9 giugno 1938, riprendendo il contenuto della primissima informativa di polizia 26 maggio 1937, dove a caldo il Commissario aggiunto Billotta specificava che “se egli si è indotto a prendere parte materialmente sia al rilievo del disegno della falce e martello, che all’esposizione dello straccio rosso, come il suo operaio, Balducci Guerrino, lo accusa, lo si deve probabilmente al frutto della propaganda sovversiva, appresa dall’anarchico Angeli Artaserse, che aveva occasione di recarsi nella di lui bottega da fabbro a scopo di lavoro”. Fatto sta che mentre Vittorio si becca il confino politico, Angeli (già espunto nel 1935 dagli elenchi dei sovversivi) se la caverà cambiando più o meno spontaneamente città (da Assisi a Terni). Vedremo oltre come, con il passar dei mesi, il pericoloso sovversivo della “Denuncia per l’assegnazione al confino di polizia” finirà man mano per stemperare negli stessi rapporti di polizia in un bravo ragazzo, un po’ nelle nuvole forse, sicuramente traviato dalle cattive compagnie, forse neppure colpevole d’altro che appartenere a una famiglia politicamente eterodossa e di frequentazioni storditamente leggere.

Ecco, magari è forse proprio a metà fra queste due rappresentazioni estreme, la prima strumentale ad un gesto pubblicamente esemplare e la seconda necessaria per ricondurre a ragione gli eccessi della prima, che potrebbe situarsi il reale profilo politico di Vittorio. Non certo il prototipo del rivoluzionario bombarolo, ma neppure un bamboccio plagiato da diabolici agit-prop: più probabilmente un giovane di buoni e onesti sentimenti con la voglia di fare qualcosa, simbolico e inoffensivo, per ricordare a tutti che c’è ancora chi non si rassegna al regime. Ma qualcosa va storto.

Francesco Lampone

Lavora come responsabile dell’Area Legale e Relazioni Internazionali dell’Università per Stranieri di Perugia. Si occupa occasionalmente, per passione, della storia di Assisi. Ha pubblicato per le edizioni Assisi Mia, in collaborazione con Maria Luisa Pacelli, il volume: Assisi: un viaggio letterario, dove si esplora l’identità cittadina attraverso lo sguardo di cento visitatori illustri.

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