05 Giugno 2021

Pasolini III – Vangelo

Francesca Tuscano
Pasolini III – Vangelo

Io, per me, sono anticlericale (non ho mica paura a dirlo!), ma so che in me ci sono duemila anni di cristianesimo: io coi mie avi ho costruito le chiese romaniche, e poi le chiese gotiche, e poi le chiese barocche: esse sono mio patrimonio, nel contenuto e nello stile. Sarei folle se negassi tale forza potente che è in me.

Il 4 ottobre del 1962, in un qualsiasi pomeriggio di sole, arriva ad Assisi papa Giovanni XXIII. Pasolini è alla Cittadella. Gli piacerebbe conoscere quel papa (cui dedicherà il Vangelo) che stima perché è uomo di pace. Ma decide di non muoversi dalla camera che lo ospita. Sa che la sua presenza scandalosa e ingombrante può causare polemiche inutili e pretestuose. Per distrarsi, si mette a leggere il Vangelo che ha trovato sul comodino (abitudine dell’ospitalità della Cittadella, ma Pasolini non lo sa, e prende la cosa per un “delizioso-diabolico calcolo”). Comincia la lettura dal primo dei Vangeli, quello di Matteo, e non può smettere. Quello che legge è già una sceneggiatura. Mentre le parole scorrono, scorrono anche le immagini di un film. Marxista e ateo dichiarato, ma altrettanto dichiarato difensore del sacro come valore imprescindibile della realtà (da qui nasce la poetica del “mito”, nella quale rientra anche il Vangelo), Pasolini non teme di confrontarsi con la tradizione della chiesa. Come scrive in una risposta a un lettore di “Vie nuove”:

Caro Bassetti, perché dovrei pensare che mi critichi per aver avuto contatti con la “Pro Civitate Christiana”? I preti non sono mica il diavolo: altrimenti dovremmo adottare, rovesciata, la posizione manichea di quasi tutti i cattolici nei nostri confronti. […] Una filosofia atea non preclude il rispetto per la religione […] Una filosofia atea non è la sola filosofia possibile del marxismo – tanto è vero che la base marxista e operaia è sempre stata nella sua maggioranza credente, ed anche ad alto livello si sono avuti molti marxisti cattolici..

La Cittadella accoglie con entusiasmo la proposta di Pasolini, gli apre le porte della sezione iconografica (dove il regista studia i volti di Cristo di Rouault) e della fonoteca, (nella quale trova il materiale per parte della colonna sonora che compone lui stesso con Elsa Morante, assemblando Mozart, Bach, Prokof’ev e musica popolare, dagli spiritual ai canti russi). Pasolini studia, si confronta con i teologi della Pro Civitate, si fa correggere, passa da Rouault all’iconografia bizantina, da Prokof’ev (l’Aleksandr Nevskij) ad Ejzenštejn, dalla pittura medievale alle immagini documentaristiche dell’antropologia del Meridione. E infine realizza il suo Vangelo – culmine del proprio cinema di poesia (così Pasolini chiama la produzione degli anni di Edipo, Medea, il Vangelo e Uccellacci e uccellini), nel quale l’occhio della camera diventa lo sguardo del protagonista (prospettiva doppiamente rovesciata, nel caso di un Cristo bizantino com’è quello di Enrique Irazoqui). La contemporaneità si è liberata dei miti e dei riti antichi per produrre la sottoritualità dello spettacolo e della merce. Pasolini lo fa dire alla sua Medea, che guarda al Giasone che la deride, come alla mostruosità del logos. Ma lo fa dire soprattutto allo sguardo feroce e sublime del suo Cristo, che anche nel momento estremo della croce non smette di stringere la spada che ha portato nel mondo. La morte, che la contemporaneità ha voluto rifiutare (esiliandola nei luoghi della sofferenza, come gli ospedali, come ha scritto Walter Benjamin), è l’ultimo rito e il primo. Perciò in Cristo l’umanità è così profonda. Perciò la sua bellezza è quella che salva il mondo inconsapevole al quale non ha voluto portare la pace, ma il conflitto della libera scelta.

In parole molto semplici e povere: io non credo che Cristo sia figlio di Dio, perché non sono credente – almeno nella coscienza. Ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità. Per questo dico “poesia”: strumento irrazionale per esprimere questo mio sentimento irrazionale per Cristo. Vorrei che il mio film potesse essere proiettato nel giorno di Pasqua in tutti i cinema parrocchiali d’Italia e del mondo. Ecco perché ho bisogno della vostra assistenza e del vostro appoggio. Vorrei che le mie esigenze espressive, la mia ispirazione poetica, non contraddicessero mai la vostra sensibilità di credenti. Perché altrimenti non raggiungerei il mio scopo di riproporre a tutti una vita che è modello – sia pure irraggiungibile – per tutti.

(Lettera a Caruso del febbraio 1963 con la quale Pasolini chiede la collaborazione della Cittadella per la stesura della sceneggiatura del Vangelo)

Francesca Tuscano

Francesca Tuscano laureata in Russo, Italianistica e Lingua e Cultura Italiana. Ha scritto di letteratura, teatro, cinema e musica russi. Lavora come catalogatrice di fondi musicali, traduttrice dal russo, librettista.

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