12 Marzo 2023

Si chiamava Zaher e scriveva poesie

Claudio Volpi
Si chiamava Zaher e scriveva poesie

Alcune delle ultime frasi e poesie di Zaher Rezai, quelle che aveva in tasca la notte che ha perso la vita schiacciato dal tir sotto il quale si era nascosto per sfuggire ai controlli di frontiera del porto di Venezia. Aveva tredici anni, era nato in Afghanistan. Come compagni di viaggio il ragazzo aveva quattro animaletti di plastica e un piccolo diario in cui scriveva anche poesie. Il ragazzo è morto la sera del 10 dicembre 2008. Il camionista che si è accorto di averlo travolto è scappato. Il giovane straniero era sbarcato al porto, poco prima, da un traghetto proveniente dalla Grecia. Un giubbotto scuro, due paia di pantaloni per ripararsi dal freddo, la fotocopia di un certificato d’identità greco, una banconota afghana, una scheda telefonica della Vodafone greca e un piccolo diario, in cui annotava varie cose e scriveva poesie: tutto il suo mondo e la sua vita in questi pochi oggetti.

Se un giorno in esilio
la morte deciderà
di prendersi il mio corpo
Chi si occuperà
della mia sepoltura,
chi cucirà il mio sudario?
In un luogo alto
sia deposta
la mia bara
Così che il vento
restituisca alla mia Patria
il mio profumo.

“La fuga dalla povertà non è l’unico motivo che spinge tanti minorenni afghani a nascondersi sotto un camion cercando di raggiungere il sogno europeo. Il viaggio della speranza è soprattutto una fuga dalla violazione dei diritti fondamentali; una corsa al diritto di esistere in quanto esseri umani prima ancora che bambini.

Sono talmente tante volte
approdato alla barca
del tuo amore
che o raggiungerò
il tuo amore
o morirò annegato
giardiniere, apri la porta
del giardino;
io non sono
un ladro di fiori,
io stesso sono diventato fiore,
non vado in cerca
di un fiore qualsiasi

La paura del viaggio. Il tratto di mare che ancora lo separa dal diritto d’asilo.

Io che sono
così assetato e stanco
forse non arriverò
fino all’acqua del mare.
Non so ancora quale sogno
mi riserverà il destino,
ma promettimi, Dio,
che non lascerai
passare la primavera.

Ecco il mare, l’ultima traversata.

Oh mio Dio,
che dolore riserva
l’attimo dell’attesa
ma promettimi, Dio,
che non lascerai passare
la primavera

Zahir lo sa, al porto di Venezia molti minorenni come lui vengono respinti senza avere diritto ad un interprete, senza poter dire da cosa stanno scappando. Si nasconde sotto un camion per eludere i controlli. Ancora qualche chilometro ed è fatta. Invece no, non ce la fa. Solo otto chilometri prima, dentro al porto, c’erano un ufficio, un interprete, un avvocato che avrebbero potuto accoglierlo ed evitargli quel che è avvenuto. Bisogna solo salvarli ed accoglierli. Un grazie ad A. che con uno dei suoi lampi mi ha mostrato questa indimenticabile storia.

Claudio Volpi

Nato ad Assisi, dove vive e lavora. Laureato in Lettere Moderne, si occupa di Arte e Antiquariato, ha una Galleria D’Arte nel centro storico della città. Dagli anni ottanta ha pubblicato diverse raccolte di poesie, l’ultima quest’anno con il volume “Voci Versate”, Casa Editrice Pagine Roma.

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