Figlio del pittore Ferdinando e di Gismonda, Cesare è battezzato il 2 giugno 1581 a Città della Pieve, dove il padre si era trasferito dalla natia Orvieto.
L’8 gennaio 1605, ancora sottoposto alla tutela legale e forse alla supervisione professionale del genitore, il giovane ottiene dai Locatelli la commissione degli affreschi della cappella del Battista in Santa Maria degli Angeli. Da questo momento prende avvio in Assisi la carriera di un provinciale di successo, prediletto dagli Ordini religiosi, dalle confraternite, dalle famiglie più in vista ed alacremente attivo fino alla morte, registrata il 2 gennaio 1668.
Nelle Famiglie di Asisi (ante 1841; ed. a cura di Mario Gasperini, Minerva Editrice, 2007) di Francesco Antonio Frondini i Sermei hanno dignità di cittadini; nella biografica dell’artista lo storico esordisce sottolineandone l’appartenenza alla gens assisana: un privilegio acquisito nel 1596 non per nascita ma per “virtù” e ricambiato con il dono della tela raffigurante San Francesco morente benedice Assisi,oggi in Pinacoteca.
In realtà solo nel 1611 Cesare chiede la cittadinanza, a seguito delle nozze con Elisabetta di Bernardino, e l’anno successivo si firma per la prima volta “assisano” negli affreschi della cappella Vici in Santa Maria di Montesanto a Todi. Il 3 luglio 1611 infatti il Consiglio generale lo aveva iscritto tra i cittadini «con le prerogative, honeri et pesi che havemo noi altri».
Solo il 2 aprile 1616, tuttavia, pena la perdita dei diritti acquisiti, Sermei consegna la tela promessa che i priori con solenni onori ricevono in nobiliori aula Palatii Consularis.
L’impianto iconografico riflette il carattere pubblico dell’opera in cui sono effigiati il gonfaloniere, i priori e lo stesso Cesare, che si ritrae accanto al proprio stemma stretto tra le zampe del leone, simbolo della città di Assisi, qui raffigurata mettendo in risalto proprio i luoghi del potere civile, grazie all’espediente di coprire la propaggine francescana del panorama cittadino con gli assisani posti in primo piano.
La data 1626 leggibile oggi nell’iscrizione dedicatoria è un maldestro tentativo di aggiornamento dell’opera in chiave francescana, condotto verosimilmente durante le celebrazioni del 1926.