La musica medievale giunge a noi in un nuvolo di frammenti di diversa natura che possiamo considerare come i pochi pezzi superstiti di un enorme puzzle. Ogni manoscritto musicale, ogni fonte iconografica o letteraria rappresenta infatti l’istantanea di una data circostanza storica la cui comprensione impone un approccio eclettico e multidisciplinare che affianchi alla musicologia la storia dell’arte, la filologia letteraria, la storia dei costumi.
Se le rappresentazioni pittoriche di scene musicali ci forniscono informazioni preziose sull’aspetto, le principali caratteristiche degli strumenti usati e le loro diverse combinazioni verosimili o simboliche, quelle narrative ci consentono una riflessione contesto in cui certi repertori venivano eseguiti, sull’immaginario ad essi associato e in definitiva, nonostante la natura disorganica ed eterogenea di queste fonti, ci aiutano a capire il ruolo della musica nella vita e nella società medievali.
La quinta novella della nona giornata del Decamerone sembra offrirci in questo senso un esempio singolare:
“disse Bruno a Calandrino: — Ben ti dico che tu la fai struggere come ghiaccio al sole; per lo corpo di Dio, se tu ci rechi la ribeba tua e canti un poco con essa di quelle tue canzoni innamorate, tu la farai gittare a terra delle finestre per venire a te. —”
Calandrino viene qui dileggiato da Bruno che gli consiglia di conquistare il cuore dell’amata Niccolosa suonandole la “ribeba”, un piccolo strumento ad arco di origine araba antenato della ribeca quattrocentesca dal suono piuttosto nasale e stridente, ben poco adatto a serenate, che contribuisce quindi col suo essere “fuori posto” al tono comico e grottesco della novella.