16 Marzo 2024

Non solo Giotto – I galli di san Giacomo

Elvio Lunghi
Non solo Giotto – I galli di san Giacomo

Sulla tovaglia della tavola imbandita nell’episodio dei due pellegrini davanti a un giudice è scritto «Petrus Antonius de Fulgineo pinxit», che ha consentito di assegnare questi affreschi a Pierantonio Mezzastris da Foligno sin dalla Storia della pittura italiana di Giovanni Rosini (1841), che ne giudicò l’autore «con una tal grazia, ma con un colorito tendente al verdastro, che rende l’effetto men bello. Egli non mancò d’un certo merito ma è inferiore a Matteo [da Gualdo]». Il contratto per l’esecuzione degli affreschi è stato ritrovato da Cesare Cenci nell’Archivio Notarile di Assisi (1975). Fu stipulato il 21 maggio 1477 da due emissari della fraternita dei Santi Giacomo e Antonio, che si accordarono con «mag. Petro Antonio Andree (de Mezastris) de Fulgineo» per la decorazione di due cappelle, quella dell’ospedale e una seconda cappella intitolata alla Vergine ubicata all’interno della cattedrale di San Rufino – non più conservata – per un compenso complessivo di sessanta fiorini, più la disponibilità di un alloggio e la fornitura dei materiali di consumo, dalla calce al legname, dalle perle alle punte. Nel contratto erano genericamente indicati i soggetti da dipingersi alle pareti delle due cappelle e che corrispondono al programma iconografico dell’oratorio dei Pellegrini: «Nella cappella de l’ospedale. Da cielo, nella volta, quattro vangeliste overo quattro docture. Nell’aglie, campo açurro de Lamagna fine, con frigie de folgliame. Et cenga ciascun quartiere con oro fino dove accaderà. Nella intrata, dal canto destro ad man manca, doie storie de sancto Iacomo; dal lato manco doie storie de sancto Antonio. Nella facciata de la porta, dal lato dentro, meço Dio Padre con trone et cherubine et santo Iacomo et sancto Antonio, uno de là et l’altro de qua de la porta et con altre cose accaderà pinta fine in terra, con culure sopradicte et ore fine et diadema et altre cose necessarie. Promecte Bactiste sopradecto darglie fornimento, perglie, punte et calcina ad sofficientia et stantia et lecto».

Le sommarie indicazioni del contratto lasciano credere che s’intese lasciare al pittore libertà di scelta sulla vita dei due santi, e non è escluso che Pierantonio disponesse di un libro di disegni analogo a quello con storie della vita di san Francesco che utilizzò nel 1498 per un ciclo perduto in San Francesco di Bevagna. Dal punto di vista stilistico il pittore si mantenne fedele al modello oramai antiquato degli affreschi di Benozzo Gozzoli a Montefalco, che furono come un Giotto rinato agli occhi del pubblico contemporaneo; come lo fu per la religione francescana il movimento dell’Osservanza, o nel campo letterario la traduzione in volgare dei Fioretti contro il laicismo montante. Pierantonio riprese da Benozzo le maestose architetture rinascimentali e si aggiornò sugli affreschi della cappella dei Magi di Palazzo Medici a Firenze per affollare di elegantoni in posa i bordi delle sue composizioni. Se si esclude la caduta di stile nello scrivere il proprio nome sul bordo di una tovaglia – Matteo da Gualdo si era servito di una lapide in marmo con un effetto da trompe-l’oeil – Pierantonio raggiunse in questi affreschi uno dei vertice della pittura umbra nella regolata mescolanza tra realtà e fantasia: a fronte dei paesaggi fiabeschi di fitte foreste e di balze, l’aderenza al reale vi è notevole nella fedele rappresentazione degli abiti indossati dai personaggi, ciascuno commisurato al proprio ruolo sociale, e nella precisa riproduzione di un interno domestico nella storia del banchetto.

Elvio Lunghi

Insegnante pensionato non ha perso il vizio di raccontare storie

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