La politica: bisognava fare qualcosa, tra un senso di paura e un bisogno interno di lottare per cambiare le cose e far pagare le iniquità subite da questi delinquenti.
[30q] Poco si poteva fare, perché non bisognava fidarsi di nessuno (questa era la parola d’ordine dei nostri dirigenti), e si faceva un lavoro di persuasione, e si cercavano mezzi per aiutare i detenuti prigionieri politici con denaro; e questo lavoro era estremamente pericoloso, perché non si poteva scherzare con quelli comandavano la vita di allora. Quelli che comandavano erano feroci contro gli antifascisti, e contro chiunque tentava di contrapporsi a loro.
Clandestinamente arrivavano giornali come “l’Unità” e l’”Avanti”, in forma ridottissima, e si cercava di farli avere a persone fedeli e sicure. Venne la guerra di Spagna, che scosse le coscienze degli italiani, anche se la guerra andò male per noi. Qui in Assisi si formò un forte gruppo di giovani antifascisti, anche al di fuori del nostro partito.
Una mattina fu issata una bandiera rossa sulle mura di cinta di Porta Nuova. Potete immaginare la reazione dei fascisti, che per mezzo di spie scoprirono gli autori della cosa. Risultarono autori tre: un certo Petalino, Rinaldi e ***[1]) furono arrestati, anche mio padre, che si trovava qui in Assisi per rimettersi in salute da una malattia; e per intervento del Podestà Fortini Arnaldo fu liberato e ripartì per Terni giurando che mai più sarebbe ritornato in Assisi, e purtroppo così è stato, perché anche dopo il 25 luglio famoso non tornò in Assisi. Poco dopo il primo bombardamento del 1943[2] uccise mio padre e il fratello Balilla.
[31q] I tre giovani furono liberati, ma Rinaldi morì poco dopo per le botte che aveva ricevuto in carcere dagli sgherri fascisti.
[1] Le tre persone evocate erano Vittorio Rinaldi, fabbro, nato nel 1913; Guerrino Balducci, nato nel 1916; Ettore Baldelli, nato nel 1919. All’epoca del fatto avevano dunque, rispettivamente, 24, 21 e 18 anni. Il 22 maggio 1937, con i due amici che lavoravano anch’essi nel laboratorio di famiglia, Rinaldi fabbricò una bandiera rossa di un metro e mezzo con su dipinto il simbolo della falce e martello, su disegno di Artaserse Angeli, che fu issata sulle mura civiche a sud di Porta Nuova. Tutti furono immediatamente scoperti- I due complici di Rinaldi morirono entrambi, ufficialmente uno suicida e l’altro sotto un treno dandosi alla fuga. Vittorio, denunciato alla Commissione Provinciale per l’Ammonizione e il Confino di Polizia, fu dichiarato «pericoloso per l’ordine nazionale, notoriamente di idee e di sentimenti sovversivi» e assegnato a quattro anni di confino a Latronico, in provincia di Potenza. Dopo un anno, in ragione dello stato di salute gravemente compromesso dai pestaggi ricevuti e grazie a una lettera di supplica del padre, la pena gli fu sospesa con la condizionale. Mai rimessosi, morì appena 18 mesi dopo. Per curiosa coincidenza, ben più tardi il nipote di Vittorio Rinaldi, Umberto, è diventato il marito della figlia di Maceo Angeli, Ginevra.
[2] L’11 agosto del 1943 un bombardamento aereo diurno sul centro della città, senza che la vigilanza aerea avesse lanciato l’allarme in tempo, provocò 350 vittime, quasi tutte civili. Fu il primo di una lunga serie di incursioni che fecero oltre 1000 morti.
Edizione a cura di Francesco Lampone
Il prossimo capitolo del memoriale verrà pubblicato
giovedì 3 Marzo 2022:TEMPO DI GUERRA