Ricordare Nicola è per me ripercorrere un po’ tutta la vita, con tutte le emozioni che questa cosa comporta.
Nicola era colui che rincorreva me e mio cugino Domenico con la “Riga” di alluminio, per mantenere il decoro del Windsor che noi, bambini di 5/6 anni, vivevamo come fosse un parco giochi.
Nicola era l’allenatore maniacale e appassionato, di quella passione contagiosa, che mi teneva per ore a palleggiare contro il muro nella palestra della vecchia Montedison.
Nicola è stato il mio primo collega, quando poco più che ventenne ho iniziato a lavorare. Colui che mi ha insegnato il lavoro, la cultura dell’accoglienza, la disponibilità, elegante e calorosa al tempo stesso, grazie alla quale si era costruito una rete infinita di clienti affezionati, capigruppo amici e agenzie turistiche per le quali era un vero e proprio punto di riferimento ad Assisi.
Nicola è stato colui sulla cui esperienza mi sono appoggiato quando, da ragazzo ventisettenne piuttosto refrattario alle responsabilità, persi mio padre e mi ritrovai impreparato a dover dirigere l’azienda di famiglia.
Un educatore, un esempio, un amico.
Un concierge d’altri tempi, “vecchia scuola”, come non mi è mai capitato di incontrarne altri.
Ha lavorato al Windsor per più di 50 anni, dal 1954 al 2005, diventando un archivio inesauribile di aneddoti dei quali ero avido fruitore. Ma i racconti che preferivo in assoluto erano quelli della sua gioventù in Egitto, dove era vissuto perché il padre, originario della costiera amalfitana, era stato ingegnere al canale di Suez fino alla rivoluzione di Nasser. Una gioventù vissuta in mezzo agli inglesi, ai francesi, a gente da tutto il mondo, che lo aveva reso un uomo internazionale (parlava 5 lingue). E poi c’erano racconti delle gite in Libano, a Beirut, che lui descriveva come la Montecarlo del medio oriente, prima che venisse sconvolta dalle guerre civili e religiose degli anni 70/80.
In Egitto aveva iniziato a giocare a basket, sport per il quale aveva un talento naturale e del quale è stato profondamente innamorato per tutta la vita. Tornato in Italia dopo la crisi del canale di Suez, era andato a Udine per giocare a basket in serie A. Ad Assisi ci arrivò perché ci viveva la sorella e ci rimase poi tutta la vita, sposando l’amata Fiorella e mettendo al mondo la figlia Anna e i figli Salvatore e Marco, accogliendo milioni di turisti ed insegnando la pallacanestro a generazioni di assisani.
Uno dei suoi racconti preferiti era quello di quando, da poco arrivato ad Assisi, si ritrovò al campo di basket del Convitto a fare due tiri e di come in poco tempo si fosse radunata una piccola folla perché uno dei convittori era andato a chiamare gli altri dicendo:” Correte, venite a vedere, al campo c’è un egiziano che come tira ce chiappa!”. E lo raccontava con quel sorriso gentile che lo ha contraddistinto per tutta la vita e che tanto mi manca.
Ciao Nick, ti voglio bene.