Calendimaggio non è solamente sfida cortese in piazza e per i vicoli in cui le due parti si contendono l’agognato Palio, ma anche una serie di rituali non scritti che, liturgicamente, ogni anno vengono celebrati dai partaioli de sotto e de sopra.
Tra i tanti, un manipolo di (allora) ventenni (siamo nei primi anni ’90) pieni di speranze e di sogni di calendimaggio, amici nella vita ma divisi nella fede partaiola ebbero ad istituire una tradizione che da allora si è perpetuata fino ad oggi con l’unica sospensione dovuta alla pandemia che ha fermato anche la festa stessa.
Nei primi giorni di aprile, detti ex giovani (oggi cinquantenni) organizzano una fraterna agape denominata, absit iniuria verbis “cena della discordia” per trascorre una serata insieme e poi darsi appuntamento a “dopo il calendimaggio”; suggellando, da quel momento, l’inizio delle (amichevoli) ostilità. Le frequentazioni tra i rossi e i blu si sospendono anche nella vita “civile” e cresce tra loro una sana acrimonia che avrà il culmine la sera del verdetto.
Gloria ai vincitori e guai ai vinti. La fazione perdente (che, come si sa, “non cojona”) viene “cojonata” fino alla cena della discordia dell’anno successivo ma – e questa è legge non scritta ma mai violata – dovrà offrire, a propria cura e spese, una lauta cena entro il mese di ottobre ai Magnifici o Nobili vincitori; che avranno altresì la facoltà di continuare a perculare gli avversari sconfitti. Detto convivio assume spesso caratteri misteriosi misti a gesti apotropaici: anche in questo caso le due parti si sfidano per trovare posti e modalità inusuali che vengono tenute segrete fino al momento della cena stessa.
Sfida nella sfida: ogni anno si dà libero sfogo alla fantasia per trovare posti e atmosfere fuori dal tempo per vivere una dimensione parallela. Rimasta celebre la volta in cui il “gruppo pecora” (l’illuminata consorteria dei de sopra) venne bendata sulla piazza di Assisi dagli amici rossi (“sfrangiati” e affini) per essere caricata su un pulmino e dopo un lungo viagga inerpicante per ripidi tornanti si sono ritrovati da BIBI a Paganzano. Magia. Senso di appartenenza. Bellezza.
Come del resto sono divenute mitiche – anch’esse avvolte da un alone di mistero – le cene offerte per le sconfitte “alte”; tartufi, funghi, cacciagione sapientemente cucinata personalmente dalle “pecore”: il meglio del meglio di piazza Nova. Tanto che fa sperare, un po’ a tutti, una serie di loro sconfitte, non solo e non tanto per la vittoria del palio, ma per poter lucrare di tale libagioni.
Anche questo è Calendimaggio; forse è soprattutto questo il senso della festa nel quale, soprattutto i più giovani, dovrebbero riconoscersi sempre di più trovando il modo di declinarlo in maniera diversa da quella che può diventare la deriva della musica da discoteca di più recente – e triste – memoria.