Che cosa sia il “troppo pieno” ciascuno lo sa, a cominciare dai bambini che vedono l’acqua ingoiata lì in alto da quel misterioso buco della vasca da bagno (i pochi bambini che trovano ancora in casa una vasca!) quando il rubinetto resta aperto troppo a lungo. Come per tante altre cose belle e utili che ci circondano, tendiamo a sottovalutare il “troppo pieno”, che invece è un’invenzione antica e rassicurante. Veglia, in tutta modestia, alla basica esigenza che la capacità del contenitore non sia superata dal contenuto, per evitare danni anche gravi.
D’altro canto, che ogni contenitore abbia un limite appartiene al senso comune. Ma anche il senso comune può rimanere offuscato, quello dei singoli come quello delle collettività. Il Direttore di questa pubblicazione, alcune settimane fa, ha scritto un bell’editoriale intitolato “Città mercato o patria dell’ecologia?”, in cui poneva l’ingombrante questione dell’eccesso di presenze turistiche ad Assisi segnalando come il c.d “overtourism”, se non addomesticato, ti si rivolti presto contro. Insomma: il problema del “troppo pieno”. Lo faceva in un contesto di ragionamento più largo, ovvero quello della politica turistica e culturale della città in una prospettiva di medio termine. Quello di un’idea di città. Ad averla…
Per conoscere l’opinione in merito dell’amministrazione comunale e di quella regionale su punto non si è dovuto attendere molto. Più o meno in contemporanea, si potevano leggere un po’ ovunque in rete comunicati stampa istituzionali che celebravano giubilanti il numero delle presenze ad Assisi e in Umbria per le festività pasquali: trionfi poi rinnovati per il ponte del 25 aprile e per quello del maggio. O forse no, forse si è trattato solo di un riflesso pavloviano (quello di passare immediatamente all’incasso politico) e invece le posizioni istituzionali sono più sfumate, più riccamente articolate, giusto in trepidante attesa di essere espresse. Non mancheranno le occasioni di verificarlo, perché il problema c’è, è periodico e crescente e non potrà restare a lungo sotto all’angolo buio del tappeto, dove ora viene allegramente piazzato.
Va da sé che all’atto di misurare dove posizionare il “troppo pieno” di Assisi ogni categoria sociale ed economica vorrà utilizzare il proprio metro, differente da quello altrui. A qualcuno i turisti non sembrano mai abbastanza, per altri sono già troppi, e se sono troppi come selezionarli? Lì ci sarebbero poche esitazioni: se bisogna proprio scegliere, pesare invece che contare, allora meglio quelli ricchi! Già, ma poi come la mettiamo con l’anima francescana? Fra il dire e il fare… E poi bisognerà pur accorgersi che, anche quando i parcheggi satellitari esplodono e la direttrice San Francesco – Piazza del Comune sembra un pollaio all’ora di punta, restano zone della città cronicamente disertate, e peggio ancora costellate di fondi commerciali ornati da ingialliti “affittasi” e “vendesi”, resti quasi fossili dei favolosi anni ’90 quando i negozi spuntavano ovunque perché pareva che la festa fosse aperta a tutti. Come mai non hanno più rialzato la testa? E la proliferazione costante di bar e ristoranti, rigorosamente con annessa occupazione del suolo pubblico, è un bene o un male?
Si dirà che più si va avanti, più il quadro diventa complicato. Vero. Però complicato non equivale a dire inestricabile, e tantomeno ingestibile: la politica è lì proprio per quello. Ma farlo – cioè semplificare, districare, gestire – presuppone una visione, meglio se indipendente e già che ci siamo anche un po’ laica, un’idea di città che non arranchi a rincorrere il presente, ma giochi d’anticipo sul futuro. AAA cercasi.