Passeggiare per strade vuote. Leggere “Vendesi”. Finestre chiuse, senza luce. Luoghi persi per sempre. Altri nati in modo incomprensibile. La scomparsa di segni della quotidianità dell’abitare. Apparizione diffusa di artificiosità e menzogna che strizzano l’occhio alla casualità di chi è passaggio. Eppure sentire ancora più forte la bellezza dei luoghi, che la vita inevitabilmente nasconde. Il tramonto entra con forza nel rosa del Subasio, nel silenzio dei vicoli senza bambini. E ogni pietra diventa perfetta. La solitudine può persino giovare alla bellezza. Può giovarle persino la dimenticanza, l’abbandono. In Aspromonte esistono paesini completamente deserti. Bellissimi. Il montaggio definitivo, avrebbe detto il poeta della semiotica, la morte simbolica e reale che rende giustizia all’ultima, e perciò più vera, natura di un luogo, come di una qualsiasi forma di vita – tutto questo addensa la bellezza. Non è dunque l’estetica a muovere rimpianto e rabbia, ma la perdita, che a volte sembra irreversibile, della libertà di una città, soppiantata dalla non-città. “Se l’agorà, il foro o la piazza pubblica hanno reso possibile la libertà e l’uguaglianza, la loro scomparsa le annienta” (M. Amorós, La città totalitaria). Non più l’abitante, ma il casuale attraversatore di Assisi è la misura di un luogo che va perdendo i suoi spazi pubblici, e quindi i suoi cittadini (e viceversa – la socialità ha forma di cerchio, come dimostra la piazza). Lo spazio sociale si evolve in spazio-spettacolo, offrendo una storia che non è più tale. Se una città diventa “centro di accumulazione del capitale” non ha bisogno di cittadini, ma di accumulatori, appunto, e di merce (facendosi merce essa stessa, se ne possiede la potenzialità). Il destino delle città d’arte nel tempo dello spettacolo. Chi non appartiene a queste categorie va incontro a un irrimediabile destino d’isolamento. Esistono ad Assisi luoghi di libertà che assomigliano sempre di più alla cattiva coscienza del non-cittadino. La zona grigia non è solo metafora di chi ha venduto la propria umanità alla sopravvivenza, è anche “l’illusione che il non vedere” sia “un non sapere, e che il non sapere” ci allevi dalla nostra “quota di complicità e di connivenza” (P. Levi, I sommersi e i salvati). Si deve aver cura dei luoghi della libertà, anche quando sembrano perduti. Soprattutto quando sembrano perduti. Li si deve vedere. Ammettere che la dimenticanza ha necessità di complici. Far tornare a vivere nella quotidianità di una città un forno come uno spazio culturale è azione, deve esserlo – di chi può dirsi cittadino, e non semplice abitante. Restaurare, riattivare – in senso fisico e relazionale – un parco, un monumento, un’istituzione, un piazzale, è rompere la logica del grigio, dello spettacolo, della non-città. “La creatività, la varietà d’interessi, il senso di appartenenza al contesto in cui si risiede, la vitalità personale sono caratteristiche che determinano la qualità della vita delle persone. È su questi presupposti che le persone orientano, per quanto possibile, la propria esistenza, intuendo che se non sono in grado di esprimere queste peculiarità in modo pieno e soddisfacente non esiste alcuna possibilità di qualità della propria vita e, di conseguenza, di quella collettiva” (M. Amorós, La città totalitaria). Non è facile essere cittadini, quando la logica della prassi dello spettacolo si è imposta, vendendo al miglior offerente i mantelli donati ai poveri e isolando, di fatto, slanci e resistenze (come quelle di un piccolissimo Teatro, come quello degli Instabili – nomen omen – che si ostina ad esistere là dove sono scomparsi cinema e teatro municipale). Eppure essere cittadini si deve. Riprendere alla dimenticanza e al grigio la propria libertà. Non ricordare è bere per sete. Ricordare, invece, è giudizio. Si smette di ricordare per sopra-vivere in una verticale di tempo e spazio che annulla riferimenti e conseguenze. Che non è più presente, ma solo movimento, senza una direzione. Ciò che è irrimediabile accade in un silenzio che dice che tutto è trascurabile perché tutto è fondamentale. Fuori dalle intenzioni si accade. Vivere una città per farla vivere significa, invece, scegliere. Ad Assisi come a Venezia.