Questo è l’anno dantesco, che giustamente ci ricorda, ancora e ancora, che Dante è il padre della nostra lingua. Verissimo. L’autore della Commedia ha dato a ogni parola del volgare una nuova vita, ampliando significati, e creandone di nuovi. Nell’XI canto del Paradiso, dedicato alle nozze di Francesco d’Assisi e Madonna Povertà, descrive il paesaggio che circonda la città del santo in poche terzine perfette. Il Subasio (“fertile costa d’alto monte”) è il confine, in altezza, tra Assisi e il “giogo” di Nocera e Gualdo. Alle spalle del Monte, dunque, esiste un mondo dalla vita non facile, freddo e poco ospitale. Chi abita la cosiddetta Montagna di Assisi (le propaggini del “giogo”) sa che ancora adesso è così (con tutti i dovuti distinguo, in termini di vivibilità, tra la contemporaneità e il medioevo). Scegliere di abitare in Montagna (non di passarci i fine settimana) significa rassegnarsi (per quanto felicemente) a vivere alle spalle di Assisi, in un luogo che neanche si vede, dal versante della “fertile costa”. E, certo, questa è anche la fortuna della Montagna. Al suo paesaggio ha giovato il fatto di non essere poi così interessante per le speculazioni edilizie che continuano a cementificare la pianura assisana. Ma ha giovato anche l’amore per la sua natura da parte di chi la abita (natura salvata, in passato, da più di un tentativo di distruzione proprio dagli abitanti della Montagna). Perché chi si ostina ad abitare il “giogo” lo fa per amore (un amore che non ha nulla di retorico). Della terra in cui è nato (e sono sempre di meno coloro che appartengono a questa categoria) e di un paesaggio di bellezza assoluta (e questo tipo di amore appartiene alla categoria di coloro che con più convinzione abitano la Montagna, perché hanno coscientemente scelto di farlo, e alla quale appartengono artisti, musicisti, scrittori e imprenditori stranieri e locali che hanno aperto attività raffinate, importanti e rispettose dell’ambiente, in luoghi altrimenti abbandonati). E infine, di un luogo riconosciuto come altamente spirituale (la Montagna di Assisi ospita da decenni comunità di ispirazione induista e buddista). Ma abitare la Montagna significa essere condannati a frequentare strade al limite della percorribilità, che distruggono lentamente le macchine di chi è costretto a usarle quotidianamente per lavorare, portare i figli a scuola, partecipare alla vita sociale delle città vicine, fare banalmente la spesa. Fare una corsa per arrivare a un Pronto soccorso, ad esempio, è metafora tristemente grottesca, con strade che contano ormai più crateri che tratti “normali” (asfaltate in anni passati e poi completamente abbandonate a loro stesse). E le attività ricettive (poche, ma quasi sempre molto buone) devono scusarsi con i loro ospiti, per il rally a cui li costringono per giungere a destinazione. E abitare la Montagna significa anche non avere diritto al trasporto scolastico se non in direzione delle scuole che il Comune sceglie per i tuoi figli (e anche in quel caso, troverai sempre chi ti guarderà come un problema, negli uffici comunali). Se tuo figlio vuole frequentare una scuola diversa rispetto a quella che il Comune ha stabilito debba frequentare (il territorio assisano presenta un’offerta scolastica ampia e interessante, tra scuole a tempo pieno e una scuola a indirizzo musicale) non avrà diritto al trasporto. E sarà quindi condannato ad arrivare a scuola quando i genitori lo potranno accompagnare, prima di andare al lavoro, e cioè ancora prima che arrivino i suoi compagni con il trasporto scolastico (e non avrà diritto come loro a entrare a scuola prima dell’orario canonico, il che, in inverno, fa comprendere in pieno il significato del “giogo” dantesco). A ogni elezione comunale, la Montagna (per quanto scarsamente interessante, in termini numerici, per il suo elettorato) viene visitata dai candidati, che promettono strade sistemate e un’attenzione mai avuta prima per il “giogo” dimenticato. Puntualmente, ad elezioni avvenute, nulla verrà fatto per chi si ostina a vivere in Montagna. Che fare, dunque? Molto e niente. Innanzitutto, non sperare in alcuna promessa. E perciò tentare di creare una rete sensata tra gli abitanti del “giogo”, che permetta loro di essere più visibili, a prescindere da questioni elettorali, e di far valere i loro diritti presso tutte le istituzioni che li ignorano. Ma per questo è necessario che chi abita realmente la Montagna si incontri (come accadde nei momenti in cui la si difese dagli scempi a cui era stata condannata da amministratori decisamente poco illuminati). Il “giogo” ha una bellezza che gli può garantire un futuro ben più felice di quello della pianura. Ma su questo punto bisognerà tornare ancora a scrivere e dire (usando la lingua di Dante che, come scrisse Sciascia, significa “ragionare”).