Sto per dire una cosa che potrà sembrare inusuale: Assisi non è una città d’arte. Lo è stata per un breve periodo della sua storia antica, forse chissà se lo sarà ancora, ma non ha tutta questa ricchezza di monumenti artistici che ne fanno una capitale dell’arte italiana. Assisi non ha i monumenti di Roma, Venezia, Firenze, Milano e Napoli; ma non è neanche minimamente paragonabile a Siena, Pisa, Lucca, Pistoia, Arezzo, Verona, Torino, Palermo, Perugia, Orvieto e via di seguito: di cosa vogliamo parlare? Assisi ha sì la basilica di San Francesco, che è decisamente un monumento fuori scala rispetto alla città nel suo insieme, conservando al proprio interno la più importante decorazione pittorica medioevale dell’intero continente, sia per le vetrate che per i dipinti murali. Ma San Francesco non conserva quasi nulla dei quadri che aveva un tempo sopra gli altari, né quelli medievali, né tantomeno quelli rinascimentali o barocchi, salvo il poco rimasto nel pur splendido Museo del Tesoro: tutto distrutto o tutto venduto. Solo che il Museo del Tesoro non lo va a vedere quasi nessuno, temendo di dover pagare un biglietto, e di tutto è ricco salvo di pale d’altare. Negli anni passati mi è stato chiesto da una Università romana di spiegare le immagini in chiesa in rapporto alla liturgia francescana, e io ho risposto che ad Assisi non è possibile, perché mancano le pale d’altare; i dipinti alle pareti sono un’altra cosa, hanno ben altro significato.
Fuori San Francesco – è vero – c’è l’Oratorio dei Pellegrini lungo la strada che collega San Francesco alla Piazza del Comune. È uno dei monumenti di pittura rinascimentale più importanti della regione, paragonabile per i pittori che vi sono presenti – tutti di fuori: Gubbio, Gualdo, Foligno, Perugia – al Collegio del Cambio di Perugia e alla Cappella Bella del Pintoricchio a Spello. Vi risulta che sia accessibile al pubblico? Che si possa pagare un biglietto per poterne ammirare le pareti dipinte? Ma quando mai! Si sbircia l’interno dalla porta socchiusa e si va via. Eppure era nato nel XV secolo in funzione dei pellegrini in visita alla città. In seguito all’unità d’Italia passò al Demanio: quand’è che è diventato la cappella privata di un monastero dedito esclusivamente all’ospitalità? Com’è che è stato tolto alla città?
Oppure si entri in San Pietro, che da antiche descrizioni risulta essere stata una bellissima chiesa barocca, piena di stucchi, statue, pale d’altare, e ora è una monotona macchina di pietra nuda. Idem per l’interno rinascimentale della cattedrale di San Rufino, che prima dell’Alessi doveva essere strapieno di dipinti su tavola e di affreschi, e ora ha un aspetto triste e dimesso. Oppure Santa Maria Maggiore, il Santuario della Spogliazione: tanto spoglio per aver raschiato via tutto il raschiabile, una specie di Pompei, una rovina. E non dite che non è vero, perché la storia delle chiese di Assisi è sotto gli occhi di tutti.
Cosa ha di tanto straordinario Assisi? Cosa ha d’imperdibile? Intanto la pietra con la quale la città è costruita; una pietra rosa che diventa tutta d’oro nell’ora del tramonto. E poi questo delicatissimo rapporto con il paesaggio circostante, con il verde del Subasio, con l’azzurro del cielo. Città medievali altrettanto belle, come Spello, Spoleto o Gubbio, solo per restare nei confini della regione, sono state irrimediabilmente rovinate da una petulante edilizia residenziale costruita nella seconda metà del secolo scorso a ridosse delle mura urbiche. Ad Assisi questo non è avvenuto, anche se pian piano questa fascia di rispetto viene rosicchiata nel fondovalle da nuove strade e da nuove abitazioni.
Assisi è soprattutto il contesto, è il paesaggio a essere merce di scambio. Si viene ad Assisi per ammirarla da lontano come si ammira il mare dalla riva, soprattutto se la riva è occupata da una sequenza ininterrotta di alberghi e pensioncine. Il panorama più bello lo si coglie da Bettona o da Montefalco, e allora è normale che i turisti vadano a Montefalco, dove una volta ammirato il paesaggio e visti i monumenti ci sarà sempre un buon vino da bere, con le vigne in bella mostra in primo piano. Quando si superano le mura di Assisi e ci s’immerge nei vicoli poco s’incontra: appunto il tono rosato delle pietre, e è già tanto. Ma se ci si affaccia sulla valle, invece dei vigneti vedremo i capannoncini che vanno da Santa Maria e Bastia Umbra, tanto brutti quanto solo a Ellera e a San Sisto s’incontrano. Per vedere un po’ di verde dovremo spingere lo sguardo fin verso i monti Martani, verso Bettona e Montefalco.
Per avere una idea della povertà come città d’arte di Assisi si guardi alla situazione dei musei. Intanto ce ne sono sette, anzi otto: Museo del Tesoro, Pinacoteca Comunale, Museo del Foro, Museo della Cattedrale, Galleria d’arte della Pro Civitate Christiane, Museo Missionario dei frati Cappuccini. Museo della Chiesa Nuova, Museo della Porziuncola. Adesso c’è pure il Museo della Memoria: in tutto fanno nove. Fossero riuniti in una sola sede, sarebbe la più importante raccolta della regione. E invece ognuno padrone in casa propria, ma padroni di cosa? Se paragonata ai musei di Spello o di Bettona, non dico di Spoleto o Montefalco, la Pinacoteca Comunale di Assisi è ben misera cosa. Stesso discorso per il Museo del Foro: museo del nulla, lapidi con iscrizioni e pavimenti in pietra. La Rocca Maggiore – fanno dieci – è un rudere spoglio di tutto. La Rocchicciola – farebbero undici se fosse visitabile – è collocata in un posto talmente bello che la si dovrebbe tenere aperta 24 ore su 24. E invece non sono mai riuscito a salire in vetta ai piani superiori: uno perché è sempre chiusa, due perché il genio di architetto che ne curò la ristrutturazione studiò a fondo le scale di accesso interne: fuori di ogni norma, inutilizzabili. Così come inutilizzabile è la bellissima Torre del Popolo in piazza del Comune. E per fortuna che i preti in cattedrale hanno avuto la bellissima idea di consentire l’accesso sulla torre di San Rufino, una idea talmente banale che non si capisce perché non possa essere imitata per la Torre del Popolo. Già, perché? Ci vorrebbe un po’ di fantasia per valorizzare il nulla, perché tanto ad Assisi i turisti vengono comunque, forse per fare qualcosa di alternativo come ai tempi di Ecce Bombo. Ecco, ci vorrebbe un po’ di fantasia. Per esempio tenere aperti i musei e gli spazi chiusi: sarebbe già qualcosa.